Oggetto 8434 – 8463 – 8466 – Risoluzione per impegnare la Giunta, a seguito del fallimento della Shernon Holding proprietaria del marchio Mercatone Uno, a tenere aperti i tavoli di confronto con sindacati, istituzioni, fornitori; a proseguire la sua sollecitazione assieme alle 00.SS. nei confronti del Governo affinché intervenga immediatamente per tutelare gli oltre 1800 coinvolti.
Presidente, Colleghi,
appena letta la risoluzione presentata dal Partito Democratico non vi nascondo che abbiamo avuto la tentazione di sottoscriverla, perché su un tema come questo l’unità di tutte le forze politiche sarebbe più che doverosa.
Leggendo però l’atto in maniera approfondita abbiamo deciso di presentarne uno a nostra volta, non soltanto per le tante omissioni contenute nelle premesse del documento presentato dalla maggioranza, ma soprattutto per la strumentalità con la quale si vuole utilizzare questo tema per colpire un governo che, diciamocelo pure, ha sicuramente peccato di leggerezza nei controlli, ma principalmente ha la sola colpa di essere entrato in carica dopo di voi.
Come è chiaro a tutti, Fratelli d’Italia si trova in opposizione sia a livello nazionale che regionale e, quindi non ha sicuramente intenzione di ergersi a difensore dell’attuale operato del Mise, ma proporre un atto che lascia intuire come tutte le responsabilità della questione Shernon Holding siano imputabili a Di Maio lo trovo francamente scorretto.
Se poi penso al post di Calenda in campagna elettorale lo trovo anche immorale!
Tutta la questione Mercatone Uno è stata gestita dal Partito Democratico, da quando nel 2015 la storica società fondata nel 1978 da Romano Cenni è fallita con tanto di indagine per bancarotta fraudolenta sugli ex soci storici, l’azienda è stata posta in amministrazione straordinaria dal Governo Renzi. L’allora Ministro Federica Guidi, nominò quella stessa terna commissariale che è oggi criticata per immobilismo dall’Associazione dei fornitori, dopo tre anni di amministrazione straordinaria, due bandi di gara andati a vuoto e una lunga trattativa per l’acquisizione di quella che qualcuno definiva come “l’Ikea italiana”.
La vicenda si conclude poi il 18 maggio 2018 con la scelta di vendere alla Shernon Holding, quando lo stesso Calenda, che su questi temi si è messo a speculare, era ancora titolare del Mise e, come tale, non soltanto avvallava la scelta dell’impresa, ma anche la bontà del piano industriale e delle garanzie offerte.
Rigoni, ex fornitore del gruppo ha quindi rilevato dai commissari dell’amministrazione straordinaria 55 punti vendita, con il placet del Mise di cui, ripeto, Calenda era all’epoca titolare, impegnandosi a conservare la maggior parte dei posti di lavoro e a versare un totale di 22,5 milioni di cui 9 a rate. Veicolo per l’operazione era la srl Shernon holding, creata ad hoc e controllata all’epoca dalla maltese Star Alliance Limited.
Sei mesi fa Valdero Rigoni, amministratore delegato della Shernon holding, ostentava ottimismo sul futuro della catena imolese attiva nella grande distribuzione di mobili. Prometteva 25 milioni di investimenti e il raddoppio dei ricavi entro il 2022, garantiva che i dipendenti erano “il vero patrimonio aziendale” e assicurava che la sede a Malta era “legata alla volontà di portare il business di Mercatone uno oltre i confini nazionali, una volta completato il rilancio in Italia”.
In mezzo ci sono stati il passaggio di proprietà da una società maltese ad una srl con 10mila euro di capitale e sede a Padova presso l’abitazione del socio di Rigoni, la richiesta di cassa integrazione straordinaria per una parte dei lavoratori, la domanda di ammissione al concordato preventivo e il miraggio di presunti investitori interessati a ricapitalizzare l’azienda.
In nove mesi la Shernon, come riconosciuto dal tribunale, ha maturato 90 milioni di debiti di cui 67 verso fornitori e 8 di oneri previdenziali accumulando perdite gestionali al ritmo di oltre 5 milioni al mese, non ha mantenuto gli impegni presi all’atto dell’acquisizione e ha perso sia l’accesso al credito bancario sia la fiducia dei fornitori che “rifiutavano le prestazioni di merci in mancanza del loro pagamento immediato”. Si trova quindi in uno “stato di definitiva incapacità nel fare fronte regolarmente alle proprie obbligazioni”. Secondo il curatore del fallimento, in assenza di accesso al credito bancario la società si è finanziata “omettendo il pagamento degli oneri previdenziali e tributari (ivi incluse le trattenute operate sui lavoratori), non pagando fornitori e locatori di un terzo dei punti vendita, introitando acconti su ordini da evadere e non onorando le obbligazioni assunte con l’Amministrazione Straordinaria.
Il tribunale, dopo aver accertato che la società generava oltre 5 milioni di perdite al mese e che la complessa architettura economico finanziaria del piano di concordato non garantiva in alcun modo i creditori di Shernon, ha rigettato la richiesta di ammissione a concordato preventivo e il 23 maggio ha dichiarato il fallimento.
Il curatore è stato autorizzato a restituire l’azienda all’amministrazione straordinaria che, “in quanto proprietaria dell’azienda, potrà assumere le più opportune decisioni”.
Sicuramente, in questa fase, il Mise ha commesso delle grosse leggerezze trascurando od omettendo controlli, ma non si può oggettivamente scaricare su Di Maio la responsabilità di tutta questa intricata vicenda gestita per oltre quattro anni, lo ripeto, dal Partito Democratico.
È notizia di un paio di giorni fa la decisione del tribunale, cui era stata presentata apposita istanza, di acconsentire al rientro del complesso aziendale nella disponibilità dell’Amministrazione straordinaria cedente.
La retrocessione del compendio aziendale comporta di fatto l’annullamento di tutti gli atti precedenti e propedeutici alla cessione, compreso quindi l’accordo sindacale per la riduzione del montante orario di lavoro, con il passaggio di alcuni contratti da full time a part time, nonché il licenziamento di quei dipendenti i cui punti vendita non rientravano né nella cessione a Sheron Holding, né in quella a Cosmo, sicché a nostro avviso gli ammortizzatori previsti andranno attivati sulla base della situazione del personale che precedeva l’accordo di ristrutturazione finalizzato alla vendita.
Altrettanto, gli ammortizzatori sociali andranno attivati con decorrenza dal giorno in cui i lavoratori sono effettivamente rimasti a casa.
Di Maio andrà valutato sulle risposte che saprà fornire a queste due istanze.
Non meno grave risulta la condizione dei fornitori della Mercatone Uno-Shernon, i quali riunitisi in associazione nazionale, contano in circa 500 unità, collegate ad un indotto di 10.000 persone fra imprenditori, fornitori e loro famiglie.
I soggetti fornitori, secondo le dichiarazioni della suddetta associazione, vantano una somma di crediti non riscossi per centinaia di milioni di euro e lamentano la necessità di procedere a una netta discontinuità rispetto alle scelte portate avanti dal precedente Governo sia durante la fase di amministrazione straordinaria che in quella che ha portato alla cessione dei punti vendita di Mercatone Uno ad un acquirente, quale Shernon Holding, rivelatosi totalmente inaffidabile.
Va infatti ricordato che la cosiddetta legge Marzano, termine con il quale si intende la procedura di amministrazione straordinaria delle grandissime imprese insolventi, per tale intendendosi un’impresa dotata di almeno 500 dipendenti e gravata da almeno 300 milioni di euro di debiti, lascia alla gestione commissariale di nomina ministeriale amplissimi poteri di gestione.
Tra questi poteri figura quello di predisporre un programma di ristrutturazione, di esercitare le azioni revocatorie contro gli atti dannosi per i creditori compiuti dall’imprenditore prima di essere ammesso alla procedura, e quello di proporre ai creditori un concordato come strumento per la chiusura della procedura. Questa forma di concordato, che per la prima volta trovò pratica applicazione nel caso Parmalat, ha un contenuto estremamente flessibile, poiché può prevedere la soddisfazione dei creditori attraverso qualsiasi forma tecnica o giuridica e anche attraverso l’attribuzione ai creditori stessi di azioni o quote della società (o di società di nuova costituzione): con ciò trasformando, come si dice, il debito in equity (cioè in capitale di rischio).
Anche su questo fronte riteniamo sarà misurata l’azione del nuovo Governo che, quale primo atto di discontinuità auspichiamo proceda con solerzia alla sostituzione della terna commissariale nominata dal Governo Renzi, che ha già dimostrato di non saper individuare soluzioni valide per venire incontro alle esigenze dei fornitori che in questi ultimi anni hanno dovuto sopportare una situazione di estrema criticità a causa delle difficoltà operative, finanziarie e gestionali in cui si è trovato il gruppo Mercatone Uno.
In conclusione, auspicherei che terminato questo dibattito, per riguardo innanzitutto nei confronti dei lavoratori che da quest’Aula si aspettano impegni concreti e che sicuramente non meritano li si usi come pedine da giocare contro questo o quel Governo, si giunga ad un testo unitario, ripulito da quelle premesse di comodo. Se volete, la nostra disponibilità in tal senso c’è. A voi la scelta. Altrimenti non ci resterà che votare la nostra risoluzione e votare contrariamente rispetto al maldestro tentativo che avete messo in opera per mistificare la realtà e scaricare su altri responsabilità che principalmente stanno come macigni in capo al Partito Democratico ed al modo maldestro in cui ha gestito il Mise.
Grazie!