Presidente, Colleghi!
L’economia italiana è in stallo dall’inizio del 2018 e ancora non mostra segnali significativi di ripresa», scrive la Commissione nelle previsioni economiche d’autunno, che lascia invariata rispetto all’estate la stima sul Pil 2019 (+0,1%) e taglia invece quella sul Pil 2020 (da +0,7% a +0,4%).
Nel 2020 dovrebbe esserci una «modesta» ripresa della crescita, «grazie a domanda esterna e spesa delle famiglie, che però è attenuata dal mercato del lavoro in deterioramento». Così con un Pil che sale di 0,1% nel 2019 e di 0,4% nel 2020, l’Italia resta ultima per crescita nella Ue in entrambi gli anni.
La Commissione dell’Unione europea esprime poi dubbi sul gettito delle misure antievasione previsto dal Governo nella manovra 2020.
Peggiorano le dinamiche del debito pubblico italiano, previsto dalla Commissione al 136,2% sul Pil nel 2019, 136,8% nel 2020 e 137,4% nel 2021.
Per affrontare la crisi e rilanciare l’economia servono stabilità ed un disegno di prospettiva che possa garantire un fisco più leggero, una riduzione del costo del lavoro, più semplificazione e un maggiore accesso al credito, tutti elementi che mancano a questo Governo che si affermare viva “alla giornata”.
In questo contesto il Governo ha previsto nella manovra economica (DPEF 2020) di inserire la Plastic tax, e considerando che Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna da sole valgono quasi il 60% dell’industria nazionale della trasformazione di plastica, significa che il 60% della plastic tax finirà per gravare maggiormente proprio sulle regioni che tenacemente trainano il Pil del Paese.
Tra Piacenza e Rimini l’impatto economico sarà più amplificato che altrove per la fortissima concentrazione dei costruttori di macchinari per il confezionamento e l’imballaggio (dalle bottiglie alle pellicole avvolgi-pallet, i settori clienti che hanno la plastica come materiale chiave del processo rappresentano oltre il 60% dei volumi).
Nella ‘Packanging valley’ emiliana operano quasi due aziende su tre di questa nicchia meccanica tricolore e garantiscono in regione quasi 20mila posti di lavoro e 5 miliardi di euro di fatturato l’anno.
Numeri che, se sommati ai 16mila addetti delle imprese di trasformazione plastica della via Emilia (che generano più di 3,1 miliardi di euro di ricavi) danno la misura della filiera che tale tassa comprometterebbe in modo diretto o indiretto.
In ballo ci sono lungo la via Emilia oltre 36mila posti di lavoro e più di 8 miliardi di giro d’affari che avrebbero vita più facile traslocando oltreconfine, dove non ci sono balzelli improvvisati per sanare i conti pubblici a compromettere l’equa concorrenza.
Senza contare tutta l’industria chimica a monte, dal polo Eni di Ravenna a quello Lyondell-Basell di Ferrara.
Se infatti i prodotti fossero solo per il mercato nazionale la plastic tax si potrebbe scaricare sul consumatore finale, ma essendo per lo più lavorati destinati all’estero l’effetto sarebbe la perdita di competitività sul mercato, spingendo le aziende a delocalizzare altrove.
Alla luce della direttiva europea che dal luglio 2021 vieta l’uso di articoli in plastica usa e getta, il settore ha già ridotto del 20% le vendite (e quindi la produzione) di questi articoli ancor prima che la normativa entri in vigore.
Il settore sta dunque già pagando ampiamente andrebbe piuttosto aiutato e sostenuto nella riconversione.
In questo momento proporre un balzello che di fatto porterebbe ad un raddoppio abbondante (+110%) dei costi reali per le aziende italiane del settore, e dovranno anticipare trimestralmente la tassa di 1 euro al kg, rischia di diventare devastante.
E’ quanto puntualmente segnalano anche da Confindustria e unitariamente anche dalle principali associazioni sindacali del settore.
l’unica alternativa sarebbe dunque delocalizzare gli stabilimenti in stati che non prevedono tale ulteriore ‘gabella’, e dove inoltre l’energia si paga già molto meno;
Gli addetti del settore, inoltre, puntano il dito anche sulla campagna mediatica ingiustamente scatenatasi sui prodotti di materie plastiche, poiché per lavorare su un’economia circolare, per la salvaguardia dell’ambiente e per prodotti biodegradabili occorre fare ricerca con nuovi costi in aziende che devono quindi ovviamente poter lavorare ed investire in tali obbiettivi.
La plastica oggi, peraltro, si fa con pochissima materia prima, energia elettrica e consumo di suolo e con il più contenuto consumo di Co2, quindi da questi punti di vista è la materia più ecologica, il problema semmai è il recupero e l’educazione al recupero.
Un sacchetto di carta richiede il 50% in più di acqua, con la carta al posto della plastica occorrerebbero altre tre foreste amazzoniche.
Inoltre, gli imballaggi alimentari in plastica, che rappresentano solo il 2,5% dei rifiuti totali, garantiscono una conservazione dei prodotti senza paragone, quindi con una riduzione senza eguali negli sprechi alimentari, dove maggiori sprechi si traducono in maggiore produzione e di conseguenza maggiori consumi ambientali.
L’applicazione della plastic tax quindi porterebbe solo ad una pesante ricaduta sui lavoratori del settore e nessun beneficio all’ambiente, imparando dagli altri Paesi europei che quando si tratta di cercare mitigazioni ambientali non lo fanno certamente a scapito delle proprie economie.
Il presidente Bonaccini ha annunciato il suo piano anti-plastica, con un impegno di 2 milioni di euro e una serie di iniziative per ridurre l’uso e riconvertire il settore, ma per riconvertire il settore occorre prima salvarlo.
La Plastic tax deve essere dunque cancellata, non ridotta o modificata come pare sia il compromesso a cui si vorrebbe arrivare in un sodalizio come quello tra il PD e i 5 Stelle che più resta al Governo, contro l’evidente volontà popolare manifestatasi in ogni passata occasione di voto democratico, più danni rischia di fare al paese intero, ambiente compreso.